Linfoma

Nel 2015 andava tutto meravigliosamente bene e speravo potesse proseguire così per sempre. Paco iniziava a essere anzianotto ma era in forma, faceva ancora salti da fermo di un metro per salire in un solo balzo sul tavolino dell’area cani. Ero riuscito a portare a termine il corso SIUA con Paco ed ero appena diventato Educatore Cinofilo. Avevo conosciuto di persona la mia amica Corinna “Aniu” e i suoi cani. Paco era finalmente diventato un cane felice, affidabile, potevo lasciarlo libero, con l’auto andavamo dove volevamo. Queste erano le mie piccole gioie.

 

Un giorno viddi Paco stanco, mogio, camminava trascinando le zampe. Questo malessere durò per due giorni, poi Paco si riprese perfettamente, quindi non diedi molto peso a questo episodio.

 

Poi un giorno come tanti, una passeggiata come tante al Valentino. Come sempre facevo fotografie a Paco e riguardandole mi accorsi che aveva qualcosa di differente rispetto al solito: sembrava avesse il “doppio mento”. Gli toccai la gola e sentii come delle “ghiandoline”, che prima non c’erano. Corsi subito da Simona a farlo visitare.

 

Paco fece diverse visite ed esami; Simona mi spiegò che nel giro di pochi giorni i linfonodi erano tutti ingrossati. Degli esami specifici confermarono la diagnosi di linfoma. E dire che fino a quel momento non sapevo neppure cosa fossero i linfonodi! Sapevo però cosa fossero i tumori, sapevo di parenti e amici che avevano avuto il cancro e, nonostante le cure, non era mai finita bene.

 

 

Fui indirizzato a un oncologo veterinario; su Torino avrei avuto diverse scelte. Feci diverse telefonate e la clinica con disponibilità immediata che più mi convinse era solo una, l’Anubi di Moncalieri. Li conobbi Sara, la loro oncologa. Fatti gli accertamenti, mi spiegò che il tumore di Paco era in stadio avanzato e diffuso. Si poteva fare la chemioterapia per donare a Paco, nel migliore dei casi, un anno di vita. Diversamente, con le sole terapie palliative, si sarebbe trattato solo di qualche mese. Nessuna speranza di guarigione. Quella volta mi misi a piangere, e purtroppo fu solo la prima volta di tante.

 

 

 

Conoscemmo all’Anubi tanti altri cani con brutte malattie. Alcuni dei quali volati sul Ponte dell’Arcobaleno nel periodo della chemio di Paco 🙁 Penso a volte che, se non altro, i cani hanno la fortuna di essere inconsapevoli di quel che hanno e di cosa li aspetta. E che, finché sono in forze, continuano a vivere giorno per giorno, nel “qui e ora”, come nulla fosse.

 

 

Furono sei mesi impegnativi, Paco se la vidde brutta, dimagrì molto, perse massa muscolare, le zampe posteriori iniziarono a cedere e temevo non avrebbe più recuperato anche vista l’età. Ogni giorno in più con lui era un dono. Ma una prima volta ne uscì. Finite le terapie, a fine 2016, iniziò a riprendersi. Per un anno restò libero dalla malattia, fu un bel anno per me e Paco il 2017.

 

Sono riconoscente a chi mi ha sostenuto e aiutato in questo periodo, con un pensiero gentile, venendo a trovarci, chiedendo come stesse Paco, contribuendo alla colletta per le spese mediche, venendo con noi all’Anubi durante le visite o le terapie. Ringrazio le dott.se Simona Toscano e Sara Tomassone, mia mamma, mio papà, mia sorella, le amiche Alice, Corinna “Aniu”, Cristina di Lara, Francesca “Kooma”, Maria Grazia. E tutti gli amici del Wild Fangs, anche se purtroppo ci siamo persi di vista.

Don Giovanni

Pacone era un gran corteggiatore, non perdeva occasione per fare il filo a tutte le canette che conoscevamo. Era un vero Don Giovanni, mai insistente, mai volgare; corteggiava le femmine con baci dietro le orecchie, con nasate delicate o poggiando il mento dietro la schiena. Le tentava tutte e non demordeva, non si faceva scoraggiava da qualche abbaio o qualche morso.

 

 

 

Aveva anche delle preferenze, aveva un debole per le labrador scure e per le CLC, ma non disdegnava le PT.

 

 

E quando poteva corteggiare più femmine contemporaneamente… perché no!

 

 

 

Il senso per le automobili di Paco

Avevo sempre avuto una idiosincrasia per le automobili. Fino al 2012 avevo evitato anche di prendere la patente. Lavoravo da una quindicina d’anni e fino ad allora me la ero cavata con passaggi da parte dei colleghi, treni, autobus.

Mi rendevo conto però di aver adottato un cane che adorava viaggiare in auto. Che adorava le automobili. Nei parcheggi le annusava tutte, cercando quelle che potessero essere a lui familiari. Riconosceva anche i modelli di auto in cui lui aveva viaggiato. Annusava per bene le maniglie, forse per capire chi vi avesse viaggiato. I parcheggi per lui erano una pacchia. Una volta passammo vicino a un’auto il cui proprietario stava aprendo il bagagliaio in quel momento. Paco senza esitare ci saltò dentro.

Ma con Paco l’auto non era solo un vezzo: talvolta c’era necessità di portarlo via dalla città, ad esempio nel periodo di capodanno o il giorno dalla festa di San Giovanni. Era necessario evitargli i botti e i conseguenti traumi, altrimenti ogni volta avremmo fatto passi indietro. C’era la necessità di portarlo presso il centro cinofilo o la figura professionale che di volta in volta ci seguiva per i vari problemi.

Decisi di iscrivermi a scuola guida. Ci sarebbe da scrivere un libro solo su come ho preso la patente e sulle inusitate difficoltà che ho avuto, dovetti dovuto persino cambiare scuola guida. Ero motivato unicamente da Paco e dal fatto che mia sorella mi aiutò a comprare un’auto. Trovammo un Renault Kangoo rosso, in versione van. Persino 4×4.

 

Attrezzai l’auto per renderla comoda e sicura per Pacone e per portare assieme a lui eventuali bauamici. Esternamente la decorai con delle piccole impronte. Delle automobili non mi era mai importato nulla, eppure ero felicissimo di avere auto e patente: potevo andare ovunque, ma soprattutto potevo portare Paco con me ovunque!

 

 

 

Palo della luce con le ruote

Il periodo precedente e successivo il capodanno 2011 fu un vero disastro. Mi rivolsi dapprima alla nostra bravissima veterinaria, Simona, che all’epoca aveva come paziente anche Lilla, la nostra gattina di famiglia. Lei con grande pazienza e dedizione ha sempre cercato di aiutare Pacone, ma non avendo ai tempi competenze in ambito comportamentale non potè che raccomandarci a un suo collega.

Tramite un Medico Veterinario Comportamentista iniziai un lavoro sulla relazione e sulle fobie di Paco. Il lavoro si basava su un testo riconosciuto a livello internazionale. Io e Paco ci cimentammo per mesi nel seguire il “Protocollo per la deferenza”. Si trattava di chiedere un seduto al cane e poi allontanarsi, muoversi da e verso il cane, intorno al canile, per la casa, provocare rumori come il suono del citofono, ecc. e ricominciare daccapo se il cane si fosse alzato. Il tutto andava fatto (letteralmente!) con un cronometro, dal momento che gli esercizi avevano delle tempistiche indicate con estrema precisione.

Paco, con pazienza, si sedeva e iniziavamo… con sessioni sempre più lunghe… 5 minuti, 10 minuti, 15 minuti… ogni giorno. Dopo alcune settimane iniziavo a vedere i primi risultati: stavo dimagrendo, il girovita diminuiva, i polpacci iniziavano a diventare più tonici 🙂 Per Paco, ovviamente, non cambiava assolutamente nulla 🙁

Non essendoci risultati, a Paco fu prescritto un antidepressivo, il Clomicalm. Nutrivo ancora la massima fiducia nei confronti dei veterinari e di chi poteva e doveva saperne più di me, quindi iniziai a somministrargli questo farmaco psicotropo. Purtroppo anche in questo caso non c’erano miglioramenti sulle fobie, in compenso Paco iniziava ad avere ogni tanto dei comportamenti inquietanti. Si comportava come se ci fossero altre persone in casa. Escluso il fatto che in casa mia ci fossero presenze paranormali con cui il mio cane interagisse… potevo solo dedurne che avesse le allucinazioni… Siccome neppure in questo modo c’erano netti miglioramenti, mi venne proposto di passare alla fluoxetina (il Prozac) e in quel momento iniziai a nutrire dubbi sul percorso intrapreso.

 

Sospesa gradualmente la terapia, mi rivolsi a un centro cinofilo. Conobbi Marco, un personaggio: non si capiva se fosse un istruttore cinofilo, un Alpino, un anziano con la pipa, un volontario della Protezione Civile o l’insieme di tutte queste cose.

Mi parlarono bene di quel centro cinofilo, ero speranzoso. Grazie ai passaggi in auto di mia sorella portavamo Paco, il quale veniva sottoposto a una immersione (flooding) nei rumori che lo spaventavano e io avrei dovuto far finta di nulla anche si fosse spaventato e farlo continuare a passeggiare a costo di costringerlo. Mi dissero che la pettorina Julius K9 era “una cazzata” e dovevo usare solo collari. Paco era abilissimo a sfilarsi qualsiasi collare anche ben stretto, tanto che ero arrivato a mettergli due collari contemporaneamente!

Inoltre i “compiti a casa” constavano nel solito “Protocollo per la deferenza” e “Regressione sociale guidata”, del farlo mangiare dalle mie mani al Valentino in posti o situazioni che lo mettevano a disagio.

Le fobie non miglioravano (col “senno di poi” e le competenze acquisite in seguito potrei dire: ovviamente), Paco era spesso nervoso e diverse volte mi aveva morso. Allora l’istruttore aveva iniziato a dire che non mi impegnavo a sufficienza, che non cambiavo, che non fossi “abbastanza simpatico” per Paco perché risultavo essere un “palo della luce con le ruote”. Sulle prime ero risentito per questa definizione, solo in seguito ho iniziato a riderci e sinceramente a pensarci mi viene da ridere ancora adesso 🙂

 

Un giorno di ritorno dal centro cinofilo, nel farlo uscire dall’auto, Paco mi riempì un braccio di morsi. Mia sorella era terrorizzata e arrabbiata con lui. L’istruttore, consultato telefonicamente, consigliava di chiamare il cane e far catturare Paco e lasciarlo poi in canile. Non ci avrebbe più seguito e disse addirittura sarebbe stato meglio farlo sopprimere. Avevo chiamato Mirella, anche lei mi consigliava di farlo catturare e che poi sarebbe venuta a riprenderselo e riportarlo a Baulandia. Anche mia madre era arrabbiata e delusa di Paco, saputo dell’incidente.

Io ero letteralmente furioso! Ma non con Paco: con tutti gli altri! In quella situazione, paradossalmente, ero rimasto l’unico a difendere Paco! Se non mi fossi impuntato quella volta, sarebbe finito nuovamente in canile. O peggio.

 

 

Area cani e piccoli amici

Dai primi giorni avevo iniziato a portare fuori Paco allungando gradualmente le distanze da casa. Ero finalmente riuscito a portarlo in un’area cani, quella del Giardino Luigi Firpo. Col “senno di poi” e con le mie attuali competenze cinofile so che le aree cani non sempre sono il preludio di esperienze positive per cani e proprietari, ma all’epoca mi sembrava di poter realizzare un sogno! Sarebbe stato piacevole vedere Paco socializzare con altri cani, ma confesso che sarei stato anche io felice di socializzare con altre persone con interessi in comune.

 

Paco si è sempre mostrato amichevole con altri cani, anche maschi, cosa che spesso stupiva positivamente altri proprietari di cani. Con le femmine era un vero Don Giovanni. Erano tutte sue, anche se aveva le sue preferenze: per le labrador aveva un debole, per le CLC stravedeva ma anche le pastoresse tedesche non le disdegnava affatto!

Iniziava tutto con una annusata alle parti posteriori e poi piano piano si passava ai bacini dietro le orecchie, alle “nasate” sulla schiena… ovviamente questo era il preludio alla monta, cosa che purtroppo per lui ho sempre dovuto impedire onde evitare cucciolate non previste. Oppure tutto si concludeva con qualche abbaiata o qualche morso da parte della femmina, un due di picche canino insomma 🙂

Il suo primo bauamico lo ricordo sempre, è stato Lump, che ancora mi è capitato di incontrare qualche volta dopo che è mancato Paco. Un Jack Russel, all’epoca era un cucciolotto.

Nell’area cani conoscemmo anche due dog sitter, abituè dell’area cani di Via Muratori: Margherita e Silvia. Quando c’erano loro, dal momento che Paco era un cane buono e socievole, ci permettevano di entrare con i loro cani e quelli dei loro clienti. Questo fu d’aiuto a Paco anche per quanto riguarda le fobie, seppur trovarci in area cani mentre stava per iniziare un temporale o nel periodo dei botti poteva diventare difficile. D’altra parte in città, con tutti i rumori che in qualsiasi momento potevano spaventarlo e indurlo alla fuga, non c’erano molti altri posti in cui potevo lasciarlo sciolto in sicurezza.

L’area cani era diventata anche un rendez-vous, un punto d’incontro con altri amici cane-muniti o con parenti. “Dove sei?” “In area cani con Paco, vieni anche tu?”. “Dove ci troviamo?” “In area cani!”. E con mia sorella arrivammo al punto di fare manutenzione di quell’area cani, visto che alla Circoscrizione non importava. Ci occupavamo, di nostra iniziativa e a nostre spese di riparare recinzioni, chiavistelli e cancelli. D’altra parte lo facevamo anche per Pacone: era importante che, anche se si fosse spaventato, non potesse scappare.

Eravamo felici, passavamo il tempo anche se soli, a Paco bastava una pallina. Gli lanciavo la pallina e lui me riportava, andavamo avanti così anche per un’ora.

 

 

Giochi, nanne e tanta paura

Paco era da subito piaciuto a tutta la famiglia. Lo avevamo già iniziato a chiamare col vezzeggiativo di Pacone, perché era grande, con le zampotte grandi e in età già adulta. Aveva da subito iniziato a rilassarsi, a prendere confidenza con la casa, a usare finalmente la sua brandina mettendocisi sopra… e sotto…

Gli avevo iniziato a comprare un Kong, che a lui in realtà piaceva usare come Kong ma anche inseguire per casa e recuperare come fosse stato una “pallina”. D’altra parte non aveva mai avuto giochini in canile e qualsiasi cosa per lui era una novità, qualcosa di sconosciuto che non sapeva usare, ma che era una cosa bella e divertente.

Era agosto, era normale e auspicabile capitasse qualche temporale. E così iniziai a capire che Paco non aveva una semplice paura dei temporali come mi dissero in canile, era qualcosa di più radicato e profondo, di più complesso. Una paura tale da sopraffare lui, che senza pace scappava per tutta la casa cercando riparo e vie di fuga, da sopraffare me che non sapevo come aiutarlo e che all’epoca non avevo competenze per gestire una tale situazione.

Purtroppo tutto quel che avevo letto su libri e sul web non aiutava e, cosa che ancora non sapevo, in qualche caso era controproducente ed errato, il consiglio di ignorare totalmente il cane che ha paura.

Paco durante i temporali o se sentiva rumori come botti, aerei, sbuffi, tonfi o anche un semplice palloncino che scoppiava andava totalmente in panico. Cercava vie di fuga in qualsiasi direzione, anche in verticale. Se era in strada tirava per tornare a casa ma se era a casa voleva uscire o cercava riparo a caso sopra e sotto i mobili.

Durante l’inverno del 2011 la situazione precipitò notevolmente a causa dei botti. Non parliamo della notte di San Silvestro, ma dei mesi di novembre, dicembre e metà gennaio. A Torino non era ancora il vigore il divieto e i ragazzini andavano avanti per mesi interi a lanciare petardi in strada.

Mio malgrado mi ero ancora accorto di come Paco, se tentavo di interagire con lui mentre era in panico, magari per trattenerlo o contenerlo affinché non saltasse per casa facendosi male, poteva anche mordere. Avevo iniziato a gestire la situazione come potevo, aiutandomi anche con dei kennel.

Ma lui non voleva stare neppure nei kennel, grattava, a quello in stoffa forzava la cerniera, quello in plastica era piccolo e lui grattava. Tra l’altro a causa del fatto che i kennel avessero un gradino, se lui era già in panico, non voleva entrarci. Così con delle tavole di legno, delle parti di un recinto componibile per cuccioli e delle semplici fascette di plastica, avevo costruito un kennel molto largo e con una parete che si apriva totalmente fino al pavimento. Avevo messo delle coperte intorno per attutire i rumori.

Chiaramente avevo ben compreso di avere bisogno di aiuto, di figure professionali che ci aiutassero…

Verso una nuova vita

Mirella Ruo

Era inizio agosto del 2010, lavoravo molto e quasi non avevo una vita privata, avevo bisogno di “staccare” e da molto tempo desideravo un cane. Dopo anni di volontariato nei canili non avevo mai avuto un cane “tutto mio”. In quel periodo ero in contatto con Mirella Ruo, responsabile di una cooperativa che in passato gestiva il canile Baulandia di Casale Monferrato. Mi scrisse proprio in quei giorni perché, dopo una serie di vicissitudini di cui ero a conoscenza, avevano ripreso il canile in gestione. Sabato 7 agosto sarei andato a parlare con Mirella. In realtà preannunciai anche la volontà di adottare un cane.

Scheda di Paco sul sito di Baulandia

Nei giorni precedenti avevo spulciato il sito web di Baulandia, c’erano le schede dei cani. Per qualche motivo una scheda l’avevo anche stampata, ma non mi sono mai spiegato il perché proprio di quel cane e perché solo di quel cane. Forse una semplice coincidenza, forse quel cane mi aveva colpito più di altri, forse era destino.

Non avevo ancora l’automobile, non avevo neppure la patente. Non ne avevo mai avuto bisogno. Ovviamente da Torino non potevo andare a Casale Monferrato e tanto meno in un canile in campagna con i mezzi pubblici. Mi accompagnò mia sorella Anna Lisa. Dopo una chiacchierata con Mirella, mi furono mostrati alcuni cani. Non intendevo fare distinzioni di sesso, razza o età, chiesi un cane che potesse andasse d’accordo con altri. Mi veniva consigliata una cagnona bianca di 3 anni, Meringa.

Chiesi di portare in passeggiata Meringa, ma non mi sembrava giusto nei confronti del suo compagno di box far uscire solo lei. E poi eravamo in due. Così chiesi se io e mia sorella avessimo potuto portarli fuori entrambi, così  lei portò Meringa e io portai Paco.

Paco in auto verso casa (prima foto di Paco)

Meringa sembrava un cane perfetto, affettuosa, abituata a interagire con le persone. Paco sembrava abitudinario, era già più avanti con l’età e in box girava in tondo senza badare molto alle persone. Mi diceva Mirella che del canile non ne poteva più, che voleva sempre scappare dal box, che aveva proprio bisogno di una casa. Ma un cane nero focato di sei anni tutti passati in canile e che girava in tondo chi lo avrebbe adottato…

Dovevo adottare Meringa, tornammo a casa con Paco. Salii in auto sul sedile posteriore e feci salire anche lui. Paco si accomodò sul sedile come lo avesse sempre fatto: in un primo momento si mise a pancia all’aria con la testa sulle mie gambe e quando partimmo si sedette per guardare dai finestrini.

Arrivati a Torino andai a comprare una brandina adatta a lui. Anche se il primo giorno la snobbò, forse perché una brandina non l’aveva mai avuta ne sapeva cosa fosse e che fosse per lui. Si mise a dormire a lungo sul pavimento, come avesse avuto del sonno arretrato. Niente più rumore, niente più abbaiare, niente più odore di urina, niente più cemento bagnato.

La prima nanna di Paco